31 maggio 2013

D'orologi e d'amori

Quando le cose si rompono, si possono mettere a posto, si possono aggiustare. A volte l'ingranaggio rotto di un orologio può essere riaccomodato e le lancette di conseguenza, ricominciano a girare.
Qualcuno crede che questo sia vero anche per i meccanismi fra le persone, quelli che le fanno girare armoniosamente insieme, a tempi diversi, ma nello stesso quadrante.

Questa visione del mondo è tanto poetica e rassicurante quanto puerile.
Non voglio dire che nulla, quando si rompe, sia mai aggiustabile, ovviamente.
Nè nel mondo fisico (dove è evidente), nè in quello interiore, più spirituale. Solo che a volte l'ingranaggio rotto si può aggiustare, le lancette ricominciano a girare, magari armoniosamente...eppure l'orologio si era fermato e dopo, quando sarà ripartito, segnerà per sempre l'ora sbagliata.
Senza sapere in qualche modo che ora è, ed è una conoscenza esterna all'orologio rotto, non c'è modo di reimpostare l'ora giusta. Quella conoscenza presuppone una profonda consapevolezza condivisa fra tutte le parti di sè nel tempo.

Sarà un orologio funzionante, meccanicamente, ma sbagliato, nella sua sola parte essenziale.

...Guardarlo non ha più senso...
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29 maggio 2013

Comunicare

Alcuni mesi fa ho portato a casa delle "scaloppe vegane", se ricordo correttamente il nome.
Parlare di "scaloppe" richiama alla mia mente il concetto di fettine di vitello, tipicamente infarinate e cotte in padella, come a me così anche ad altri, suppongo.
Vegano implica l'assenza di carne, ovviamente. Si trattava di seitan, se ricordo correttamente, ovviamente non solo...c'erano altri ingredienti..

Ora io trovo questa comunicazione, "scaloppe vegane", per del seitan lavorato con la forma della scaloppina, forse corretta, sicuramente forviante.
Da un punto di vista dell'esperienza poi, non c'è nulla da fare: il nome e la forma ricordano la scaloppa, la bocca si prepara per quello...che però non corrisponde affatto a quello che ottiene, nè in termini di consistenza, nè in termini di sapore.
Nulla di male, ovviamente: il seitan non è una mucca, non si capisce perché dovrebbe averne consistenza e sapore. Il problema nasce dal nome "scaloppa".

Ne ho parlato con un amico vegano, che non condivide la mia posizione. Non c'è voluto molto per prendere la strada della polemica e dell'assurdo iperbolico e questo mi ha portato a riflettere, ancora una volta, sulla comunicazione.

La comunicazione può essere corretta o efficace; potrebbe anche essere entrambe, ma nessuno dei due implica l'altro.
Corretta significa sostanzialmente che ciò che è stato comunicato corrisponde a ciò che si voleva comunicare secondo i significati stabiliti delle parole e le regole sintattiche della lingua (sì, si può essere corretti solo formalmente, cioè rispettare le regole della lingua, ma non esprimere il concetto desiderato, ma...è un'altra storia, un'altra pippa e comunque fuori tema). La correttezza è un concetto fortemente razionale, quasi scientifico, perché tratta di aderenza a delle regole (ben?) definite e segue un rigoroso processo di confutabilità.

Efficace significa che ha fatto capire all'interlocutore ciò che intendeva comunicargli. Non ha nulla a che vedere con la forma, quindi, non è neppure strettamente razionale, laddove il concetto da comunicare non sia solamente razionale e non è confutabile formalmente: qualunque analisi della comunicazione non può dimostrarne l'efficacia, solo l'analisi dei suoi risultati può misurarne il grado di efficacia. Siamo nel territorio dell'empirico.

Chi non conosce gli obiettivi di chi parla, non può valutare nè la correttezza nè l'efficacia di una comunicazione, nel senso che può verificarne solo al correttezza formale, ma non l'aderenza al concetto che l'autore intendeva esprimere, nè la sua efficacia, che dipende strettamente dal risultato che si voleva ottenere.
Si possono fare delle supposizioni, nulla più.

Se "scaloppa vegana" voleva dire che è un prodotto senza carne con la forma tipica della scaloppa e metodi di cottura simili, la comunicazione è parzialmente corretta (molti vocabolari citano il vitello come unica possibile fonte di scaloppe, non si sa se per comodità o è parte della definizione, tutti parlano di carne), ma piuttosto efficace. In effetti, a parte che non so quanta gente sappia cosa significa "vegano", credo sia sostanzialmente comprensibile ai più (non mi addentro qui nella fuzzificazione della funzione dell'efficacia rispetto alla percentuale degli interlocutori che hanno recepito il messaggio, il senso non cambia, la funzione sarebbe arbitraria e probabilmente differente di situazione in situazione).

Se voleva invece suggerire, oltre alla forma, una consistenza e un sapore, la correttezza è diminuita, e l'efficacia è tracollata: consistenza e sapore non sono neppure vagamente paragonabili.

L'efficacia dipende inevitabilmente anche dal target della comunicazione. Se da un lato è evidente che il target è genericamente l'acquirente del negozio (totalmente generico quindi, visto che nello specifico ero in un minimarket come mille altri, dove passa umanità molto varia sotto qualunque parametro), dall'altro è anche evidente che ci si rivolge al consumatore interessato, al potenziale cliente, e a chi passa lì per caso in contemporanea, ma con 3 risultati ed efficace diverse e probabilmente 3 intenti comunicativi diversi.

Al vegano (e vegetariano in genere), la frase scaloppa vegana dice che è un prodotto privo di fonti animali, tagliato a forma di scaloppina, cosa interessante, forse, ma assolutamente inutile: fossero stati esagoni componibili a nido d'ape non avrebbe cambiato nulla.

Al simpatizzante, il fatto che abbia la forma della scaloppina probabilmente serve a dargli dei riferimenti gastronomici, senza perdere in correttezza: gli consiglia in modo diretto e sintetico in che fase di una cena collocarla e come cucinarla. La forma di scaloppa lo aiuta a non pensare che il prodotto in questione non ha nessun rapporto col suo canonico universo alimentare, ma probabilmente il fatto che un impasto lavorato a cui si può dare qualunque forma abbia quella della scaloppa piuttosto che del birillo del bowling o del dodecaedro regolare non gli cambia molto...però preferisce la forma a scaloppa. Il fatto che poi le sue papille gustative possano subire uno shock sentendo cosa ha veramente in bocca è un problema successivo...

L'acquirente inconsapevole potrebbe essere tratto in inganno dal termine scaloppa, non sapere cosa significa vegano (eh sì, 1% della popolazione non è molto...abbastanza per averlo sentito, poco per sapere sicuramente cosa significa) o peggio ancora fraintenderlo. A questo punto la parola scaloppa fa la magia e lui compra, se poi il produttore è fortunato, piacerà anche. In questo caso è fondamentale che il prodotto abbia la forma della scaloppa e non quello di un tetraedro, altrimenti l'incanto scompare già sullo scaffale.

Se l'obiettivo era quello della comunicazione orientata alla vendita, ecco fatta la scomposizione. Se era quella di fare interessare al prodotto, il fatto di rimandare la mente del consumatore a un prodotto della stessa forma senza nessuna altra analogia lo mette inevitabilmente nella condizione di avere delle aspettative, magari solo inconsce, che poi verranno disattese. Effetto boomerang di ogni vendita fatta mediante meccanismi poco limpidi.

Io credo che la comunicazione al giorno d'oggi, abbia molto poco a cuore la correttezza e punti solo all'efficacia. Credo inoltre che quasi ogni comunicazione abbia uno o più obiettivi principali coesistenti e una serie arbitraria di obiettivi secondari.
I primi sono per lo più esplicitati o messi in evidenza, gli altri sono spesso degli spunti che arricchiscono la comunicazione.
A volte però il concetto messo in evidenza in una comunicazione non è altro che uno specchietto per le allodole, che serve cioè a poter fare la comunicazione, a poter avere un argomento comodo di cui parlare, quando in realtà gli obiettivi principali sono nascosti fra le righe, magari non troppo in profondità, in modo che raggiungano quasi tutti, ma non espliciti, per evitare censure o di essere semplicemente smascherati (sputtanati) pubblicamente.
Grillo, per esempio, fa così. Molta comunicazione populista fa così. Parla di quello che la gente vuole sentire, così raggiunge, ma dice cose che vuole far pensare alla gente, inserendole a latere o tagliando il punto di vista  in modo che i significati espliciti siano revisionati nel testo in modo sistematico.

Non è questo il caso, certo, e non lo voglio insinuare.
Qui credo che se ci fosse stata correttezza avrebbero venduto dei "seitan scaloppato", ma la dicitura volutamente ambigua aiuta a vendere un pelo di più, e al di là del tempo di crisi....come dargli torto?

Mi chiedo se nel medio o nel lungo ne avranno dei benefici...e se ne avrà il movimento vegano, posto che a loro stessi interessi.









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27 maggio 2013

Hushpuppy ed il cambiamento.


"l'universo è fatto di tante piccole e fragili parti in equilibrio fra di loro", o qualcosa di simile, recita Hushpuppy, bambina protagonista di 'Re della terra selvaggia' (traduzione discutibile di Beasts of the Southern Wild). E poi ancora "basta che una di queste parti si danneggi per far crollare tutto l'universo".

Visione affascinante, forse, del mondo. Oltretutto, per quanto riferita principalmente al mondo esteriore, è estensibile a piacimento verso il mondo interiore, a cui del resto accenna.
Per certi versi è rassicurante, perché ammette un equilibrio "sostenibile" e pone l'accento sull'averne cura. Per altri versi è allarmante, perché la fragilità comporta una continua attenzione.

Io sinceramente vedo il mondo da tutta un'altra prospettiva, quindi dissento profondamente da questa visione del mondo e non mi ci è voluto neppure tanto per razionalizzare da dove mi uscisse questo senso di fastidio e di distacco.
Hushpuppy vede il suo mondo minacciato dal cambiamento, fisico e sociale. La convinzione alla base è che questo cambiamento porterà a dei disastri, ecologici in primo luogo, ma con impatti e ripercussioni su tutto e tutti.
Lo spirito ecologista del film è strano, a causa dei toni sicuramente molto originali, che lo mascherano e lo mettono in risalto insieme; lo sostengono o lo mettono in discussione. Il film è un originale film di formazione che racconta il passaggio di questa bambina particolare, nel mondo degli adulti. L'assunzione di responsabilità e consapevolezza, la sconfitta delle paure infantili in favore di un coraggio adulto, con cui affrontare la vita. Consiglio assolutamente il film, per la sua originalità, la sua poetica, la sua dolcezza, alcune sferzate al mondo "normale".... ma non posso non dissentire da molte delle tesi di fondo.

Credere in un equilibrio di base immodificabile se non a costo dell'apocalisse, significa essere, nel profondo, conservatori di uno status esistente quanto arbitrario.
Arbitrario, sì, perché non è "originario", detto che l'equilibrio originario esiste per sua definizione solo in una concezione creazionista del mondo, ma è semplicemente quello attuale (nel film) se non di una qualunque epoca passata a cui molti conservatori tendono, idealizzando ciò che fu per il mero fatto di essere stato senza averci portati all'apocalisse.
Credere che girare una rotellina di un ingranaggio potrebbe distruggere l'intero meccanismo, non è in sé sbagliato ed in alcuni casi può anche essere vero. Sicuramente prenderlo a martellate non aiuta. Ma questo significa solo che le modifiche possono essere deleterie, quindi farle a casaccio potrebbe non essere fra le scelte più sicure.

Non ammettere la possibilità di modificare l'attuale significa arrogarsi il diritto di decretare che si è raggiunto il mondo migliore possibile, o almeno che lo sforzo evolutivo non vale il risultato ottenibile. Sottende, oltretutto, che la situazione contingente sia perpetrabile in eterno.

Io leggo il mondo in modo molto diverso, in chiave dialettica: non c'è nessun equilibrio stabile e ideale, ma una continua evoluzione, in cui determinate pulsioni fanno da contraltare altre pulsioni preesistenti e ne costituiscono l'antitesi, sin dove le due forze non raggiungono una sintesi dei loro elementi caratterizzanti, che è sia l'inizio di un nuovo ondeggiare, che parte di altre pulsioni (tesi) e reazioni (antitesi) che già erano in contrapposizione prima. In parte sembra un tiro alla fune fra forze contrapposte, ma soprattutto è l'alternarsi storico di tentativi, esagerazioni, passi indietro, nuovi tentativi...un continuo cambiamento che parte da dove siamo e ci porta in un posto nuovo, non sempre migliore, ma parte di una evoluzione a cui tendiamo. Anche un minimo locale serve, in questo processo, per dare una spinta in altra direzione con la giusta forza.

Il mondo è fatto di onde continue e di infinite armoniche. Il loro ritmo non è necessariamente regolare, ed è spesso perturbato da sovrapposizioni inattese. Il gesto di "rompere" alcuni pezzi del mondo è un effetto collaterale del farlo progredire se non addirittura lo strumento grazie al quale sorpassiamo uno status quo e riusciamo a lasciarcelo alle spalle.

Non c'è vita che valga la pena di essere vissuta senza evoluzione: c'è solo sopravvivenza.

Uscendo dal sociale ed entrando nell'individuale, mi pare evidente l'importanza e la bellezza dell'evoluzione ed il suo moto dialettico.

Forse è poi così evidente, però. Del resto molti rimpiangono l'infanzia o l'adolescenza, cose se esistesse quell'età dell'oro a cui voler tornare e da dover conservare all'infinito.

Questa non è la mia visione del mondo. Non è la mia morale.

Questa mia visione è opinabile tanto quanto l'altra. Quello che emerge è il filo sottile che le rende internamente consistenti, ma delinea anche la divergenza e inconciliabilità fra queste posizioni.

E qui, come nel film, parlo del'universo, del mondo esteriore e anche del mondo interiore. Del fisico e del metafisico. Di quello strano mischione poco comprensibile che è la vita....

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