22 novembre 2013

Favole: Il coccodrillo, il leone e l'aquila

Un leone e un coccodrillo stavano parlando vicini alla riva di un fiume. Stavano cercando di decidere chi fosse il più temibile dei due.
Il leone si vantava per la sua forza, la sua velocità ed i suoi riflessi fulminei. I suoi artigli e le sue zanne erano armi micidiali da cui nessuna zebra avrebbe potuto mai difendersi e le sue zampe possenti lo rendevano più veloce di qualunque bufalo in fuga!
Non senza vanità elogiava anche la bellezza della sua folta criniera che incorniciava il suo muso regale e incuteva rispetto in tutti gli altri animali.

Il coccodrillo lo assecondava, ma ribatteva anche facendo notare la moltitudine di denti acuminati nella sua bocca e la sua agilità nel muoversi in acqua e la forza dei suoi muscoli. La sua capacità di tendere agguati sulle rive del fiume era impareggiabile, a suo dire, e il leone non poteva certo dargli torto.
Con una certa baldanza vantava la sua naturale corazza che lo rendevano non solo imbattibile, ma anche terrificante agli occhi di qualunque avversario.

Mentre discutevano fra loro un'aquila li notò dal cielo e decise di andare a sentire più da vicino di cosa stesse parlando quella strana coppia. Fece un giro largo nel cielo, poi scese lentamente, volteggiando, e si posò ad alcuni metri di distanza da loro, sul ramo di un piccolo arbusto secco, giusto in tempo per ascoltarli giungere alla conclusione del loro discorso.
I due infatti concordavano che il leone era il re della pianura e il coccodrillo era il re del fiume. Insieme erano i padroni di tutto ciò che l'occhio poteva vedere e nessun animale mai avrebbe potuto mettere in discussione il loro predominio.

L'aquila fece un balzello avanti sul suo ramo e disse: siete proprio sicuri? Io non credo che abbiate considerato bene la questione...

Indispettiti i due ricominciarono ad elogiare la loro forza, abilità e bellezza, ma l'aquila li bloccò, dicendo che aveva sentito il loro discorso, ma che erano stati troppo frettolosi nel giudicare e troppo vanitosi nel proclamarsi padroni di tutto ciò che l'occhio potesse toccare. C'erano, secondo lei, degli animale che potevano benissimo sfuggire a entrambi.

Il leone ruggì furioso - sfuggire a noi? e chi mai? trova un solo animale che sia in grado di sfuggirci! Non è possibile. 
Nella sua testa già pensava a quale tipo di mostro potesse essere più forte di lui o del coccodrillo, da un lato spavaldamente si rassicurava, dall'altro aveva paura di scoprire una simile creatura.

Se te lo indico voglio essere chiamata regina anche io, anzi, dimostrandovi che io invece posso cacciarlo, voglio essere la vostra regina - disse l'aquila. Il leone e il coccodrillo acconsentirono, ma pretesero in cambio di sbranarla per la sua presunzione, se si fosse sbagliata. Avevano già l'acquolina in bocca pensando al facile pasto che si stavano per guadagnare!

Si tratta di un animale debole e indifeso - ribatté l'aquila - ed è presto detto: scommetto che non siete in grado di catturare quel passerotto su quell'albero vicino al fiume!

Il coccodrillo si infuriò, perché il passerotto era troppo in alto per lui e gridò di essere stato ingannato. L'aquila gli fece osservare quanto lui si fosse vantato, solo pochi minuti prima, della sua abilità nel tendere agguati sulla riva del fiume, cioè proprio dov'era l'albero con il passerotto. Il coccodrillo mostrò i denti, ma non poté dire nulla e dovette ricacciare in gola la sua rabbia e frustrazione.

Il leone, però, non si diede per vinto. Quatto quatto si avvicinò all'albero e inizio ad arrampicarsi con la forza delle sue possenti zampe, conficcando gli artigli nella corteccia dell'albero. Salì per qualche metro, poi iniziò a camminare su un ramo, proprio sotto a quello su cui era posato l'uccellino. Si muoveva piano, per non farsi sentire e stava con cura in equilibrio sul ramo pronto a compiere il balzo finale. Quando però ebbe fatto pochi passi,il ramo si spezzò sotto il suo peso e il leone piombò a terra, goffamente, insieme al ramo, che gli cadde sulla coda, facendolo ruggire vigorosamente.
Il passerotto fece per scappare via, ma l'aquila spalancò le ali e si avventò su di lui, divorandolo.

Un po' imbarazzato e un po' indolenzito per la caduta rovinosa, il leone dovette ammettere il suo fallimento e al contempo ammirare la grazia con cui l'aquila aveva catturato il passerotto che né lui né il coccodrillo erano riusciti a cacciare.

Sapevate di essere il re della pianura e del fiume, eppure non vi siete voluti accontentare e vi siete voluti nominare re di tutto ciò che occhio potesse vedere, ma vi siete dimenticati di guardare in alto, di considerare il cielo sopra di voi, limitando la vista a dove posate le zampe, senza alzare lo sguardo. Per questa vostra leggerezza e per la superbia avete perso anche il titolo che a buona ragione avreste meritato - disse l'aquila.

Sì, nostra regina - risposero mestamente all'unisono il leone ed il coccodrillo, feriti nell'orgoglio e ridimensionati a terra dove erano costretti a stare, mentre l'aquila spiccava il volo per tornare a volteggiare alta nel cielo.



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Favole: Il nano e la talpa

C'era una volta un nano che scavava, scavava e scavava in cerca d'oro e pietre preziose. Andava giù, sempre più giù e costruiva enormi gallerie nel terreno, usando il suo fedele piccone e gli altri attrezzi che si era procurato negli anni.
Aveva già trovato alcune pietre preziose, ma non voleva accontentarsi e tornava nelle sue miniere e scavava, scavava, scavava.
Per rendere più facili le operazioni spesso costruiva dei condotti che portavano in superficie e finì per bucherellare tutta la prateria sopra alle sue miniere. Sembrava il lavoro di una talpa gigante e chi avesse visto quei buchi si sarebbe spaventato a immaginare il mostro che poteva averli scavati, se non avesse saputo che erano opera del nano. Tutti infatti lo conoscevano nella valle e nessuno si preoccupava più dei suoi buchi.

Un giorno trovò un filone di pietre luccicanti. Bramoso di arrivare alla vena principale iniziò a scavare con sempre maggior foga: scavava, scavava e scavava. Era così preso dalla bramosia che non si accorse neppure di avere davanti una parete di roccia durissima. Un colpo, un altro e poi ancora un altro e il manico di legno del suo fedele piccone si spaccò. Sbalordito e scocciato per l'accaduto, tornò in paese e comprò un piccone nuovo, completamente in metallo.
Questo certo non si spezzerà - pensò fra sé e tornò a scavare, già convinto che grandi ricchezze fossero lì, a pochi colpi di piccone da lui.
Un colpo, un altro e poi un altro ancora e la punta del piccone inizio a piegarsi, sin quando fu evidente che quel piccone non poteva più essere utilizzato.
Il nano era disperato: aveva finalmente la ricchezza tanto sognata davanti a sé e non sapeva come raggiungerla!
Fu allora che ai suoi piedi sentì una vocina che gli disse - forse io posso aiutarti.
Si guardò intorno e non vide nessuno. Pensò quindi di aver avuto un'allucinazione, ma quando la sentì di nuovo capì che veniva da vicino ai suoi piedi, così abbasso lo sguardo e si trovò di fronte una piccola talpa.
Aiutarmi? E come potresti? - chiese incredulo.

La talpa gli disse: non preoccuparti di come, ma se riuscirò a portarti qui il tesoro che cerchi ne dovrai spendere metà per comprare insalata e carote, disseminare tutta questa prateria che hai riempito di buche e coltivarla per me. Sono ghiotta di carote, sai? Più di un coniglio...e l'insalata? ah, quanto mi piace!!

Il nano accettò, ma pretese in cambio, se la talpa avesse fallito, di poterla mangiare allo spiedo. Tutti sanno, infatti, quanto i nani siano ghiotti di talpe allo spiedo. La talpa ci pensò su un attimo: era impaurita, ma alla fine accettò.
Subito si mise a cercare nella parete se ci fossero dei punti terrosi in cui fare breccia e quando trovò il primo iniziò a scavare. Dopo pochi istanti era sparita alla vista, ma poco dopo tornò indietro.
Vicolo cieco - spiegò.
Il nano fece un sogghigno e la talpa si rimise al lavoro. Trovò un nuovo punto terroso e iniziò a scavare...sparì per un po'. Quando rispuntò, era un altro vicolo cieco infatti, il nano stava preparando un piccolo falò sotterraneo, cosa che solo i nani sanno fare, senza soffocare per il fumo!

La talpa era impaurita, ma non si diede per vinta e iniziò a scavare nuovamente, questa volta verso il basso. Bucò il pavimento e sparì in fretta.
Il nano cominciava già a pensare che fosse fuggita e non sarebbe più tornata, quando un piccolo rubino grezzo rotolò fuori dal buco in cui era entrata la talpa. E poi un altro e un altro ancora!

Era ricco!

Dopo poco sbucò la talpa, portando ancora altre pietre.

Ma come hai fatto? - Chiese curioso il nano.
Ho provato prima la via facile, come hai visto, ma non ha funzionato, allora ho pensato che così non ce l'avrei mai fatta e ho deciso di cambiare strada e scavare intorno alla parete di roccia. Ho fatto un giro molto lungo, ma seguendo il bordo, sono arrivato dall'altra parte.  - disse la talpa, e dopo questa spiegazione gli ricordò la promessa.

Il nano era di parola e per quanto gli dispiacesse privarsi di metà del suo tesoro, rispettò il patto: comprò i semi e si mise al lavoro. Nel giro di qualche mese c'era un'immensa distesa di carote e insalata e la talpa, felice, banchettava con tutti su suoi amici, che aveva richiamato da tutta la valle!

La talpa era orgogliosa perché aveva imparato che perseverando si possono superare le difficoltà e che non dandosi per vinti e provando nuove strade si riesce ad arrivare a risultati altrimenti irraggiungibili.



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21 novembre 2013

Favole: Il mulo e la formica

C'era una volta un mulo, che si vantava con tutti di essere il più bravo a trasportare qualsiasi cosa. Nessuno, diceva, poteva eguagliarlo, in quanto a forza e nessuno era più bravo di lui a trasportare oggetti: bastava caricargli sulla schiena il carico, anche il più difficile, e dirgli dove portarlo e lui era sempre in grado di farlo. Era più forte e più bravo lui da solo di una intera compagnia di trasportatori!
Un giorno, per vantarsi nella piazza del paese, volle dare una dimostrazione della sua bravura.

Caricatemi sulla schiena quelle bisacce di rete, piene di quei mattoni e io le porterò dall'altra parte della piazza.

Degli uomini le riempirono e le caricarono sulla schiena del mulo. Fecero fatica ad alzarle, da quanto erano pesanti, ma il mulo, come se nulla fosse, attraversò la piazza con il suo carico.

Avete visto? - disse - ...e posso fare anche di più! riempite le bisacce con quelle sbarre di ferro!

Gli uomini, meravigliati obbedirono. Dovettero mettersi in 5 a caricarle sulla sua schiena e non senza sforzo, da quanto erano pesanti, ma lui le trasportò dall'altra parte della piazza, senza mostrare neppure un briciolo di cedimento.

Sono più forte io di chiunque, nessuno è più bravo di me! Posso battere in forza e abilità nel trasporto una intera compagnia di persone!!

Mi scusi signor Mulo - Si sentì vociare. Era una piccola formichina che passava di lì e aveva sentito con quanta boria il mulo si vantava delle sue capacità - Io non sono certo forte quanto lei, eppure credo di essere più brava come trasportatrice di quanto sia lei!

Il mulo ragliò e rise: tu più brava di me? E com'è mai possibile?!? Cosa sai trasportare che io non posso? In cosa credi di essere migliore di me, piccola formichina?

La formichina spavalda raccolse un chicco di riso e lo portò dall'altra parte della piazza, poi tornò indietro e disse al mulo: lo faccia lei, signor Mulo.

Stupito e incredulo il Mulo rise e chiese agli uomini di appoggiare quel piccolo chicco di riso sulla sua schiena, visto che era così piccolo che non poteva stare nelle bisacce di rete: sarebbe scappato fuori e caduto a terra.
Una volta appoggiato sulla schiena il mulo inizio a camminare con il suo passo ondeggiante e dopo pochi passi il chicco cadde a terra. Indispettito dal fallimento inatteso il mulo chiese a un uomo di metterglielo fra i denti, in modo che lo potesse tenere ben stretto e non farlo cadere.
L'uomo ubbidì e il mulo riprese la sua marcia col chicco di riso fra i denti, ma il chicco era troppo piccolo e gli scivolo fra i denti, si appoggiò sulla lingua e subito, per istinto, il mulo lo ingoiò.

Ha visto, signor Mulo? Come le dicevo io sono più brava di lei nel trasporto.

Imbestialito il mulo ribatté che mai la formica sarebbe riuscita a trasportare neppure uno di quei mattoni dall'altra parte della piazza e che non poteva, per un misero chicco di riso, bullarsi di essere più brava di lui, se non sapeva fare null'altro.
La formica si guardò intorno e fece dei suoni, che noi umani non possiamo capire, ma per lei erano chiari: stava chiamando a raccolta le sue amiche. Subito sbucarono da ogni fessura fra le pietre altre formiche e si radunarono intorno a lei e scambiarono qualche parola fra loro. In pochi attimi si fecero largo nel groviglio della rete per i mattoni e insieme ne sollevarono uno e lo portarono fuori dalla sacca. Altre formiche arrivarono e in pochi istanti svuotarono tutta la sacca. La formichina guidò la processione di formiche dall'altra parte della piazza, poi tornò dal mulo, mentre le sue amiche tornarono alle loro faccende.

Vede signor Mulo? io non sarò forse forte quanto è lei, ma insieme alle mie amiche non c'è impresa che non possiamo compiere.

Il mulo abbassò il muso e tornò mesto alla sua stalla, avendo imparato che la forza non è tutto e che nessuno, da solo, è abile quanto può esserlo un gruppo di amici pronto ad aiutarsi.

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