22 dicembre 2012

Svincoli linguistici

Stavo riflettendo sulla dualità di molte situazioni umane. Cose che assomigliano alla necessità di un osservatore per dare il suo connotato portante ad un "osservato".

Attività bizzarra per un sabato sera, direte voi, e non a torto. Non so dire se sia nerdismo intellettuale, un cazzo d'altro da fare, necessità d'evasione mentre spareccio  in solitudine la tavola. Non so, ma che conta? Tant'è.

Beh, nella carrellata delle dualità mi è venuto anche amante e amato. Piuttosto perugina come accoppiata, ma mi sono accorto che magicamente questa coppia ha 2 interpretazioni distinte, entrambe valide, per la frase "non c'è amante senza amato".
Curioso invece che in una delle 2 accezioni ci possa essere amato senza amante, nell'altra no.

Miracoli della lingua, delle parole, delle loro sfumature.

Siccome tutto è un flusso, ininterrotto, basta saper cogliere gli spunti: sempre sulla lingua oggi uno stimolo mi ha fatto riflettere sulle parole distinzione e separazione. Contigue ed assai diverse.

Amante e amato.
Distinti.
Inseparabili.
Forse.

In entrambe le accezioni?
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20 dicembre 2012

Un diritto

L'infelicità è un diritto.
L'ho sempre pensato e quindi detto o scritto (tralasciando qui il ragionamento sui miei scarsi filtri fra i pensieri emersi e la loro espressione).
Ognuno deve poter scegliere liberamente di essere infelice. Chi è intorno può interessarsi, cercare di capire se l'infelicità è voluta o subita; se nel secondo caso è lecito e anche cosa buona spingersi più in là, cercare di colmare l'infelicità con qualcosa, un sorriso, magari semplice, nel primo caso no: bisogna trovare la forza di fermarsi.
Non farlo è prevaricazione.
Io sono notoriamente un prevaricatore...ma questa è un'altra storia.

Però è un diritto rigorosamente individuale. Non collettivo. Non si può spargere infelicità. Si può essere infelici in tanti: una collettività di infelici; ma non collettivamente infelici.

L'infelicità non è un dovere. I martiri dell'infelicità sono dei coglioni. Fine del politicamente corretto.

L'infelicità non si esporta. O meglio si può esportare, ma non è giusto farlo. Gli stati lo fanno, spesso in bundle con la democrazia. Tipo:
"ehi, la vedi quella bomba con le stelline?"
"sì"
"sta cadendo su un palazzo dove vivono 3 dissidenti"
"Ah"
"I dissidenti muoiono e c'è più democrazia. Perchè io sono il popolo e so cosa voglio. Loro no."
"Ah...capisco. E l'altra bomba? Quella con lo smile strano?"
"Quella è per la scuola lì di fianco. Lì allevano i dissidenti di domani. Gli insegnano a pensare. Autonomamente. Capisci?!?"
"Ah. E perchè lo smile? Ai bambini piace di più?"
"Non è uno smile, è la faccina triste. Non ne capisci molto di emoticons, vero? La mettiamo perchè ogni bambino ha 2 genitori e 4 nonni. Loro saranno infelici. Si chiama 'effetto collaterale'."
"Ah. Ma non si rischia che diventino dissidenti, se li rendiamo infelici?"
"Sì, è per questo che di bombe ne abbiamo portate un arsenale. E siccome non vivono tutti insieme, le abbiamo inventate a grappolo, che siccome non sai dove cadono, sono poco intelligenti, abbiamo deciso di farci la faccina e le stelline su tutte..."

Però questo lo fanno gli stati. Le persone non dovrebbero esportare l'infelicità. L'infelicità è intima, è personale, è interiore, è...singolare. Ci sono LE destre, LE Sinistre, I padroni, GLI schiavi. L'infelicità è al singolare.
LA infelicità.
Ad amare la compagnia è la miseria, non l'infelicità. E anche quella sarebbe comunque bene cercare di non esportarla...

Però essere infastiditi dall'infelicità altrui è brutto come essere infastiditi dalle idee degli altri.
La libertà di pensiero è un fondamento. I pensieri si possono approvare o criticare o condividere o quel che si vuole, ma non si possono imporre. Non si può dire ad un'altro che è "libero" di pensare quello che vuole e poi mostrare fastidio per la libertà che gli si è appena riconosciuta. Si tratta di un ricatto morale violento nel suo essere subdolo e poco visibile.

Uguale per l'infelicità.

Certo, questo è un pensiero, pertanto razionale. Il fastidio è una sensazione, pertanto irrazionale. Controllarla significa essere più di una scimmia....ed è dura!
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17 dicembre 2012

Una stupida bilancia rotta...

Ho davanti una bilancia. Di quelle vecchie, con le 2 braccia e due piattini. Alla base c'è un ingranaggio che si può girare e indica cosa si misura. Starno, penso, cosa potrà mai misurare una bilancia? Leggo la scritta vicino alla tacca, c'è scritto "Criterio". Gli occhi scorrono più in basso e vedo che è impostato su "Buon senso e civiltà".
Curioso, mi dico.
Proviamo!

Metto da una parte le primarie del centro sinistra e dall'altra il battibecco di B ed Alfano...quasi si ribalta la bilancia, allora subito metto le cose di sinistra che D'Alema non ha detto negli ultimi anni e ci aggiungo, lì di fianco, le COSE di sinistra che non ha fatto, nonostante le dichiarazioni ed i programmi elettorali. Tornano quasi pari...allora vado avanti ad aggiungere elementi, che non riempiono mai quei piccoli piattini capienti...la legge bavaglio, la legge Gaspari, la mancata legge sul conflitto di interessi....e qui mi stupisco: sulla bilancia non pesa. "Come?", mi chiedo, "neanche un po'?". Evidentemente farla sarebbe stato civile, farla ad personam, come sarebbe stato inevitabile farlo, sarebbe stato più incivile che lasciare la scelta agli elettori....peccato poi per i risultati!
Vado avanti con i vizietti e le porcate, da una parte e dall'altra, ma anche con le azioni, le idee, le lotte...gli ammiccamenti populisti, le scelte indegne spacciate per necessarie...
Raccolgo i 20 anni di politica come li ricordo io, dividendo gli schieramenti, grossolanamente, in centro destra e centro sinistra: la bilancia ha solo 2 braccia e questo mi costringe a separare senza frammentare.
Il piatto del centro sinistra è molto più pesante, ma non quanto mi sarei aspettato...sicuramente non quanto avrei voluto.
Sono rammaricato, ma ne prendo atto. Voglio fidarmi della bilancia: magari è tarata male, ma sicuramente è super partes...almeno lei, forse unica in tutto il paese.

La curiosità per l'ingranaggio è forte. lo giro e leggo "Efficacia autoconservativa". Ma che diavolo di criterio è mai questo?!?! Mentre ancora lo sto pensando la bilancia si riassetta: sembra che il piattino del centro sinistra contenga solo una nuvoletta di vapore, da quanto è diventato leggero...o è solo che l'altro è diventato molto più pesante?
Perplesso e, non lo nascondo, un po' amareggiato, giro ancora l'ingranaggio.
La bilancia ha uno scatto, il piattino del centro sinistra vola in alto, come scagliato da una catapulta, pur avendo ormai poco margine di movimento, la bilancia scricchiola, si piega, pende più della torre di Pisa....poi, sotto il peso insostenibile il braccio del centro destra si spezza.

Sono allibito, leggo la tacca: "Idoneità per un paese che pensa che evadere sia un diritto e avere i servizi pure, che che i mandanti del macello del G8 possano ancora politica e non venir processati, che l'editto bulgaro sia coerente con la pluralità delle idee, che avere un contentino in nero sia un'opportunità, che Cucchi sia morto per 'pregresse condizioni fisiche', che i matrimoni gay siano un ferita alla giustizia e alla pace, cha Mangano sia un eroe, che il falso in bilancio sia la versione europea del sudoku, che una partita di calcio sia l'unico motivo per scendere in piazza, che..."
Ma cosa leggo a fare? Non ho tutto il giorno e la scritta è lunga...e il senso è chairo...forse troppo.

La bilancia è rotta.

Vorrei riportarla sul primo criterio e farla vedere alle persone, agli amici, ai conoscenti, a chi passa per strada. Vorrei poterla usare ancora.
Ma non posso. Non posso più. Si è rotta.
Come fare a far credere agli altri qualcosa che è tornato indimostrabile? Un atto fideistico? Può essere questo il senso della democrazia? Se lo fosse non sarebbe più corretto chiamarla teocrazia?
I fatti ci sono ("esserci" non "essere": in atto, non solo in potenza), ma la nostra società è troppo complessa. I fatti sono troppi, troppo articolati, troppo facilmente interpretabili. Troppi garbugli azzeccabili.
Troppo fumo intorno all'arrosto...quanto un arrosto c'è.

Ma è poi così importante quella bilancia? Veramente è l'oggettività quella che cerco, che cerchiamo? Veramente è il giudizio esterno quello che serve? Una sorta di religione, in cui si pone fede per togliere da sè l'onere della scelta, della condotta; per ridurre il rischio o almeno scansare il peso della responsabilità?

La bilancia è un mero ausilio, forse solo una prova a posteriori. Si è rotta, come rotti siamo noi, che non vediamo.
Ma non vedere è forse la più grande benedizione.
Non c'è un "giusto" che sia rivelato, e se anche ci fosse sarebbe misera cosa rispetto alla sua ricerca.
Un cammino interiore.
Solitario.
Necessario.
Inesauribile.


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12 dicembre 2012

Punteggiatura e incomprensioni

Quando leggo qualcosa mi piace assaporare le parole, sentire il ritmo che fluisce, capire il significato esplicito, intuire il significato implicito, collegare e connettere i concetti. Mi piace entrare in sintonia con il periodare dell'autore!
Le parole sono importanti!
...la punteggiatura anche.
Capirsi passa attraverso l'uso delle giuste parole inserite in frasi complesse, ritmate dalla punteggiatura.

Litigare è un po' come sbagliare la punteggiatura della propria vita insieme. Non parlo necessariamente di coppie, ma anche di amicizie e di rapporti umani più blandi.

Quando all'interno di un paragrafo compare, inattesa, una virgola dove palesemente non ci andava, il ritmo si rompe e il significato traballa, magari si perde. Se non quello esplicito, almeno quelli impliciti.
All'interno di una pagina ben scritta una virgola di troppo può passare inosservata, o magari esser notata e subito dimenticata.
Quando ne compare un'altra, altrettanto inattesa, nel paragrafo successivo, l'intoppo comincia a farsi sentire: l'intera pagina inizia a traballare.
Se ogni paragrafo contiene pause che io lettore non capisco, snodi intellettuali che mi sfuggono, perdo prima il ritmo, poi le sfumature e alla lunga anche il significato di quello che leggo.

Non parlo di punteggiatura "sbagliata": uso la parola inattesa apposta.
Io sono consapevole di avere un uso non canonico della punteggiatura. Un abuso intensivo e volontario della sospensione.
Ma la punteggiatura è comunicazione.
Ci sono degli errori, certo, come in tutto ciò che è codificato (e a volte gli errori comunicano). Più spesso ci sono delle sfumature di significato, delle impronte di ritmo, dei....significati sottesi che nessuna parola può esprimere: solo la durata e la forma della sua assenza, del silenzio, possono.

Un "errore" di punteggiatura crea una incomprensione dove le mere parole erano comprensibili e condivisibili. Lì, per me, inizia il litigio.
Non si litiga quando non ci si intende: prima si cerca una nuova forma di comunicazione.
Di solito non si litiga quando non ci si condivide: più facilmente ci si separa vivendo realtà parallele (a meno di non essere come 2 ragni chiusi in una boccia di vetro, obbligati al continuo confronto senza possibilità di coesistenza).
Si litiga quando ci si capisce e ci si fraintende allo stesso tempo. Quando le parole sono chiare, il significato esplicito è almeno intuibile, quello implicito è totalmente frainteso. Quando la punteggiatura è totalmente "sbagliata", nel senso di non condivisibile fra le parti.

E allora torno indietro: è normale che qualche virgola scappi e qualche punto di troppo alteri la nostra comprensione dell'altro e della storia della propria vita insieme.
Quando sono pochi sono stimolanti, almeno se e quando portano al confronto e all'approfondimento dei significati.
Quando diventano molti il confronto diventa scontro...il ritmo si perde, la lettura si inceppa; la bella trama va sullo sfondo a causa di una forma che la rende difficile da capire e da seguire, le finezze dell'intreccio si perdono.
Quando diventano troppi, non si capisce più cosa si legge. Non si capisce più perché lo si legge. Si smette di leggere e si ripone il libro. Il litigio che porta alla definitiva incomprensione, dove il litigio, finalmente, si spegne, non più alimentato. Se poi gli "errori" sono all'inizio del libro, ne bastano pochi per farci perdere il senso della lettura: senza contesto è facile fraintendersi. Senza appoggiarsi sulle spalle del gigante che è la nostra storia con l'altro è automatico rendersi conto che siamo solo dei miseri nani. Se capitano molto avanti, a volte il gigante del passato ci fa (fra)intendere il significato di frasi altrimenti incomprensibili e litigare dove non avrebbe potuto, senza storia, esserci comunicazione.

A volte capita di aver la fortuna e la voglia di poter dialogare con l'autore mentre sta scrivendo. Tipicamente si prova a fargli usare la punteggiatura come la vorremmo. Lo facciamo un po' tutti, in qualche misura, quando possiamo. Io sicuramente lo faccio spesso benché mi sforzi in continuazione di non farlo! Il risultato migliore che si può ottenere è quello di rendere lo scrittore frustrato perché limitato nel suo esprimersi ed il capitolo successivo del libro artificioso...se si è abbastanza ciechi ed egocentrici questo risultato arriva senza accorgersene. Si chiama ugualmente prevaricazione.
Con un po' di sforzo, si può cercare di capire, invece, il perché di quell'uso "inatteso" della punteggiatura. Di solito non cambia il fatto che il ritmo ci risulti spezzato, però a volte si capiscono i significati sottesi. Si cresce insieme all'autore. Perché capire le sfumature di un altro, sfumature che prima non riuscivamo neppure a intuire, ci arricchisce anche al di là della mera comprensione di qualche significato in più.

Certo se poi non piace, non piace....e il libro lo si molla lì.
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11 dicembre 2012

Avrei preferito Renzi


Se devo essere sincero, avrei preferito che vincesse Renzi.
Non ne faccio una questione di idee o ideologie. Chi mi conosce sa che sto molto più a sinistra dell'ala moderata del PD.
Non è solo una certa antipatia politica per Bersani: troppo liberista rispetto a quel che dovrebbe essere, inconcludente quando avrebbe potuto fare la differenza.
Non è solo una gran voglia di ricambio generazionale: preferisco una classe dirigente al passo coi tempi, che dia per scontate le esigenze e gli usi di oggi, come base per il domani invece che una classe dirigente che dà per scontati gli usi di ieri nella speranza di capire prima o poi che ieri è passato, oggi è arrivato, e il domani è alle porte.
La questione è anche di convenienza e linguaggio.
Ieri il mostro era il Caimano, oggi il Grillo.
Messi di fronte all'antipolitica e al populismo, alle facilonerie campate per aria e alla voglia di rivoluzione per il gusto della rivoluzione, serve qualcuno che possa parlare quella lingua.
Possa rispondere con una faciloneria, ammiccare al popolino, promettere ribaltamenti se non inutili, sicuramente non risolutivi.
Non è che ho fatto un gran complimento a Renzi, dicendo che lui è anche questo. Ma secondo me non è che lo è, è che ha capito che gli conviene farlo. Come anche il Grillo, mica è stupido, ha solo trovato la formula che rende e la usa.

Non può mica bastare uno che risponde "è molto semplice" e poi dopo un giro al governo però non l'ha fatto. Non basta uno che dice "è molto semplice" e poi argomenta 15 minuti, perché è un'inutile bugia. Non è semplice per un cazzo, quindi dì quello che devi dire e dillo con un'espressione che convinca chi ti ascolta che forse lo farai, o almeno potresti farlo. Dillo in fretta, tanto l'attenzione dell'80% di chi ti ascolta si spegne a metà della seconda frase (per il restante 20 che ti ha ascoltato, il 15% ha smesso di ascoltare a metà della prima e solo il 5% ti ha seguito sino a metà), quindi cosa cazzo parli a fare?

Una triste verità. Forse una cinica visione del mondo. Serve qualcuno che riesca a parlare ai milioni di Italiani che vanno a vedere i film dei Vanzina e di Neri Parenti (e Pieraccioni), ne escono divertiti, ma molti non hanno neppure capito tutte le battute.
Bersani non è capace: è troppo intellettuale.
Renzi, secondo me, sì: è abbastanza intelligente.
Grillo sicuramente sì: è dannatamente pericoloso!

pdepmcp

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