17 maggio 2011

Filosofia da strada

Un paio di mesi fa Formigoni era ospite delle invasioni barbariche. Lucia ha seguito l'intervista nella sua interezza, io solo nelle battute finali. Alla fine dell'intervista lei ha espresso apprezzamento per quello che era stato detto e per l'intelligenza di Formigoni. Al di là delle mie convinzioni politiche, morali e religiose, sarei intellettualmente scorretto se non riconoscessi l'intelligenza del personaggio. La settimana dopo ho visto don Gallo, sempre alle invasioni barbariche e a breve distanza 2 preti (a mio avviso entrambi casi atipici) ad exit, uno pro e uno anti berlusconi.

Ho meditato a lungo di scrivere un post sul fatto che con certe persone non sono d'accordo neppure quando sono d'accordo. Questa frase enigmatica che adesso spiego si adatta abbastanza bene sia ai preti che ai fascisti, ma per motivi diversi. Il senso comune in entrambi i contesti è che anche quando arriviamo alle stesse conclusioni pratiche e pragmatiche (siamo d'accordo), ci arriviamo con percorsi diversi e soprattutto con fini diversi (non siamo d'accordo). In una concezione di continua evoluzione le nostre strade sono diverse ma a volte si intersecano, quindi ci sono punti di contatto ma arriviamo da luoghi diversi, diretti in luoghi altrettanto diversi.

Ho riflettuto su questo argomento cercando similitudini e analogie che spiegassero il concetto e provando a delineare dei valori differenti che giustificassero la mia conclusione.
Non è difficile trovarli.
Mi sono però accorto che stavo mancando il problema, soprattutto nel mio rapporto coi preti o con le persone che seguono motivazioni religiose.
La chiave di lettura mi è apparsa chiara pochi giorni fa parlando con dei colleghi, uno dei quali religioso, l'altra un po' nel limbo.
Il nocciolo del discorso, alla fine è uno solo: io non credo in nessun valore assoluto, chi crede nel dio cristiano sì (credo che tutte le maggiori religioni abbiano in comune questa necessità di "assoluto" ma non voglio entrare in un vespaio).

Nella mia visione dell'esistenza non esiste "il bene", "il giusto", "il bello", così come per contro non esistono "il male", "l'ingiusto" e "il brutto".
Per contro esistono "il bene secondo me in questo momento", che potrebbe anche essere casualmente identico al "bene secondo te adesso", ma potrebbe anche non esserlo e comunque non sarà uguale al "bene secondo me domani" (nota il "secondo me" e non "per me", ciò il punto è sull'osservatore non su chi ne trae beneficio).

Questa apparentemente piccola differenza si traduce nella dicotomia fra il trovare giustificazione alle proprie azioni dentro di sé o fuori di sé.
Se non accetto "il giusto in sé", ma solo "il giusto secondo me adesso", le mie azioni non possono essere mosse da altri (umani o divini) e cristallizzate per l'eternità. Chi mi parla di valori assoluti e immortali per me sta parlando di una cosa altrettanto interessante che "la bella addormentata nel bosco".

Io non posso (e non è che non vorrei o non sarebbe più facile, è solo che proprio non posso) accettare nessuna giustificazione, positiva o negativa, fuori da me, perché non riconosco sostanzialmente nessuna verità superiore ad un'altra, quindi nessuna verità è superiore alla mia. Né, per contro la mia è o può essere superiore ad un'altra.
Al più io posso essere più forte sotto un certo aspetto in un dato momento e imporre la mia verità su quella altrui. Pur consapevole che una volta imposta a terzi non sarà più "la verità secondo me in quel momento", ma l'altrui visione della mia verità (che il più delle volte è una imitazione dilettantesca dell'originale).

Questa concezione ovviamente mi facilità molto nel concepire che altri abbiano una loro visione di bene/male, giusto/ingiusto, bello/brutto. Purtroppo mi porta anche a dare per scontato che si illudano quando credono che avendo trovato persone con idee simili questo significhi che esiste una idea assoluta di queste idee.

 Forse il mio grosso limite è non riuscire a vedere l'infinito, l'assoluto. Forse il mio grande pregio è non credere alle favole.
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